sabato, Dicembre 21, 2024
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“Made in carcere” compie 15 anni: modello d’imprenditoria riparativa e rigenerativa

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Un brand iconico che offre una seconda possibilità alle donne detenute. Vestitiaccessori e biscotti realizzati da persone recluse nella casa circondariale di Lecce e in altre carceri pugliesi.

Il marchio “Made in carcere” nasce nel 2007 ma la sua storia inizia qualche anno prima quando la sua creatrice, Luciana Delle Donne, decide di lasciare la carriera di manager bancaria per avventurarsi nel mondo dell’economia sociale.

“La mia esperienza è iniziata con un totale fallimento nel 2006 quando ho avviato il laboratorio con le detenute del carcere di Lecce  -ricorda Delle Donne – avevo formato per sei mesi le ragazze per realizzare un modello di collo per camicia molto particolare ed elaborato. Una mattina vado in laboratorio e lo trovo deserto: erano tutte uscite per l’indulto. Lavoro, formazione e soldi perduti. Da allora solo cuciture semplici e dritte, perché sono le più facili da imparare e si prestano a una delle tante metafore che ci piace utilizzare: raddrizziamo le cuciture storte della vita”.

Nel 2007, grazie alla cooperativa sociale Officina Creativa, prende invece vita il marchio “Made in carcere”. Le prime creazioni, realizzate già al tempo con materiali e tessuti di scarto, sono le borse gioiello e le borse “palla al piede”. L’originalità del progetto si basa in gran parte sugli accostamenti audaci, non solo di colori e tessuti ma anche di concetti. Come la mission “etica ed estetica “o gli accessori “utili e futili”. Ma è soprattutto l’ironia di creazioni nate in un luogo penitenziale la cifra caratterizzante di quello che in breve diviene lo stile “Made in carcere”.
“Sono felice che questo aspetto sia stato recepito – continua Luciana- in effetti grazie all’ironia siamo riusciti a sdoganare la parola “carcere” e inserirla in un contesto che ha a che fare con l’estetica. In breve prende forma quello che si definisce “un modello di economia circolare e rigenerativa” che inizia con la raccolta dei tessuti donati da aziende che invece di disfarsene, ingolfando il sistema di smaltimento ed inquinamento, preferiscono far sì che questi tornino a vivere”.

Oggi la Maison realizzata nel Carcere di Lecce, è in 6 Istituti Penitenziari – LecceBariTraniTarantoMatera e, in collaborazione con un’altra cooperativa, a Nisida, dove, grazie anche al sostegno di Fondazione Poste Italiane e di Fondazione Megamark ha avviato un primo progetto nel mondo del Food con la produzione di “Scappatelle” biscotti con certificato biologico vegano. Sono oltre 200 le persone che sono state coinvolte in questa esperienza lavorativa e alcune  assunte da oltre 13 anni.

Attualmente grazie anche al progetto BIL (BENESSERE INTERNO LORDO) con Fondazione con il SUD ne sono coinvolti altri 65 (donne, uomini e minori)  nelle varie carceri e Sartorie Sociali di periferia tra Lecce, Taranto Bari.

“Il mio obiettivo è replicare il nostro modello e fare in modo che vada avanti anche senza di me. Oltre alle nostre sartorie e alle pasticcerie negli istituti di pena, abbiamo sostenuto la realizzazione di Sartorie Sociali di Periferia, trasferendo know how.  Un’esportazione di competenze realizzata nell’ambito del bando E vado a lavorare della Fondazione con il Sud. Dagli abiti New Style alle t-shirt kimono, da borse per contenere l’impensabile alle nuove creazioni patchwork, il catalogo Made in Carcere si arricchisce di continuo di nuove proposte sempre fedeli alla filosofia della maison: semplicità, utilità, ironia.

In 15 anni Made in Carcere ha dato lavoro a molte persone raccogliendo premi e riconoscimenti prestigiosi tra cui l’inclusione nella rete Ashoka, il più grande network mondiale di imprenditori sociali innovativi. Santo Versace oltre a donare una grande quantità di tessuti, sostiene Made in Carcere per la raccolta del 5×1000, ha devoluto al brand il ricavato di charity dinners. Tanti i testimonial del mondo dello spettacolo che hanno indossato accessori della Maison e, perfino Papa Bergoglio ha messo al polso il braccialetto con la scritta “Non farti rubare la speranza”.

“Ma avere visibilità non è sufficiente – conclude Luciana Delle Donne- a superare i tanti ostacoli che ancora incontriamo nell’affermare questo modello imprenditoriale. Durante la pandemia siamo riusciti a continuare a versare gli stipendi a tutti ma la ripresa, per noi che ci dobbiamo confrontare con i tempi e le regole del carcere, è più lenta. Da una parte, che si sensibilizzino gli imprenditori a portare lavoro in carcere, dall’altra, che si spronino le grandi aziende ad acquistare prodotti che possano sostenere progetti che aiutino le persone a riconquistare dignità e consapevolezza. Offrire lavoro è un investimento che frutta in termini di reinserimento dei detenuti.  Il comandante del carcere di Lecce ha fatto una ricerca empirica sulle persone a cui abbiamo dato lavoro in questi anni: nessuna è rientrata in carcere”.

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