Viviamo in un’epoca di contrasti impressionanti, contrassegnata da una serie di crisi. Quella economica è solo la punta di un iceberg che, in modo inequivocabile, sta evidenziando l’irrazionalità di un sistema che compromette i valori fondamentali della civiltà umana con conseguenze sociali e individuali devastanti. Quello che emerge è, soprattutto, il prevalere di una cultura globale “predatoria” alimentata da una incontrollata pulsione al possesso.
Il “valore della vita” è completamente assoggettato ai meccanismi del sistema economico. Eppure, l’economia non è una scienza esatta, ma una scienza sociale intrecciata a numerose variabili e, fra queste, la “variabile umana” dovrebbe stare al primo posto. Il modello di sviluppo adottato fino a questo momento è ormai giunto al collasso. La “crisi epocale” cui stiamo assistendo sta spostando i modi “insostenibili” di vivere e di pensare al loro limite imponendo un “cambiamento” radicale dei paradigmi dominanti e delle posizioni di potere che dominano le nostre vite e le nostre coscienze.
Il cambiamento rappresenta una delle principali paure dell’essere umano, al punto che pur di mantenere le cose uguali è disposto a continuare a vivere nell’infelicità. Tendiamo a percepire il nuovo, il diverso e l’inconsueto come una minaccia, un pericolo e ci ostiniamo a ripercorrere la strada della routine quotidiana e di tutto ciò che ci è familiare. La questione è che non ci fidiamo di noi, e pur di non perdere quell’illusorio senso di sicurezza e di tranquillità deleghiamo la nostra vita a un sistema che in cambio ci chiede di conformarci e di rinunciare a esprimere la nostra unicità. Abbiamo paura, la crisi ci spaventa e facciamo di tutto per evitarla o ignorarla, ma in questo modo ci precludiamo anche la possibilità di migliorare le condizioni della nostra vita e di intravedere possibilità che prima non scorgevamo perché al di fuori dell’ottica del comune concepire.
Un antico adagio recita: “Quando il fiume è agitato l’unico a guadagnarci è il pescatore”. Per quanto paradossale possa apparire, la crisi, se non è vissuta con disagio, può essere l’inizio di una grande trasformazione. Tutto quello che occore fare è modificare la nostra prospettiva: vedere la crisi non solo per i suoi lati distruttivi, ma anche come un’occasione di crescita e un’opportunità verso il cambiamento. La crisi può aiutarci a trovare la risposta alle nostre domande esistenziali, ad accendere in noi quell’anelito verso la ricerca, la sola che può condurci alla verità. La ricerca può essere più importante della scoperta stessa.
Cercare significa “mettere in discussione”, rinunciare a tutte le posizioni acquisite, diventare flessibili. Nella ricerca, l’uomo si apre. Dunque, per predisporci al cambiamento dobbiamo sviluppare un atteggiamento flessibile e aperto al nuovo, sforzarci di acquisire nuovi abiti comportamentali e modi d’essere. Se non vogliamo più continuare a delegare le scelte importanti della nostra vita, dobbiamo agire con responsabilità sacrificando l’apatia che si cela dietro la degenerazione di un pensiero sempre più alimentato di disinteresse, indifferenza, oblio, rimozione.
L’unico antidoto contro questa degenerazione è lo sviluppo di una coscienza critica e di un pensiero libero. Il pensiero è la base dell’azione e la storia ci insegna che tutti i cambiamenti dell’umanità sono stati preceduti da un cambiamento del pensiero. Senza un nuovo “pensiero”, è impossibile cambiare la realtà. Perciò, non aspettate il miracolo, non permettete alle circostanze esterne di condizionarvi nel vostro cammino e di scoraggiarvi, sono lì per operare la vostra trasformazione.