La storia degli italiani in Libia cambia drasticamente con l’ascesa al potere di Muammar Gheddafi il primo settembre 1969.
In un’Italia che sta cominciando a godere i frutti del “boom” economico, il 21 luglio del ‘70, esattamente 50 anni fa, Gheddafi emana un decreto di confisca di tutti i beni degli italiani residenti in Libia. Dovranno lasciare il Paese in oltre 20 mila abbandonando affetti, case, attività, aziende agricole.
Torneranno in Italia nei campi profughi quasi come “appestati” o collusi con gli epigoni del colonialismo “fascista”. Solo la determinazione di alcuni di loro, negli anni successivi, riuscirà a restituire in parte dignità e indennizzi economici. A ben dodici anni dall’ultima legge di indennizzo, la n. 7 del 2009 i profughi dalla Libia ancora attendono di ricevere quasi 20 milioni di euro dei 200 stanziati.
Francesca Prina Ricotti, oggi presidente dell’Airl, l’Associazione italiani rimpatriati dalla Libia, ha subito in prima persona le conseguenze di questa ferita ancora aperta. Ne parla in un’intervista a Il Giornale con Matteo Carnieletto.
Qual è la sua storia familiare?
La famiglia da parte di mio padre è originaria del Piemonte e della Sicilia, due veri estremi della nostra cultura e geografia, con un po’ di sangue gallese, fiammingo e fiorentino. Anche da parte di mia madre abbiamo delle interessanti storie di famiglia – lei discende da Francesco Crispi e una sua trisnonna nacque avventurosamente nella Terra del Fuoco – ma in casa l’influenza della famiglia paterna è sempre stata maggiore, anche perché io ed i miei fratelli siamo cresciuti con i nostri nonni paterni, che ci hanno tramandato le loro storie e abitudini. In casa mangiavamo ricette siciliane con contaminazioni nordafricane, nonno scambiava spesso qualche frase in arabo con conoscenti e cercava di insegnare a noi nipoti l’alfabeto arabo fin da piccoli. Mio nonno Diego è un ingegnere ma la sua vera passione è la numismatica, e la sua ricerca – soprattutto concentrata sul periodo bizantino – lo ha portato in viaggio per tutto il Mediterraneo, spesso con noi nipoti al seguito. Inoltre è molto abile a raccontare storie di famiglia: sentivamo parlare del trisnonno Giulio che da Novara andò ad acquistare in Calabria la tonnara dell’Angitola senza nessuna esperienza (ma lui non era nuovo a questo genere di imprese avventurose) e di sua moglie, la trisnonna Eugenia Fenzi, che ha vissuto una vita quasi da romanzo. Sentivamo parlare del maremoto di Messina e del cugino della trisnonna Carlotta Verbeke rimasto intrappolato sotto le macerie della nostra casa di famiglia, salvato dalle intuizioni della cugina. La nostra è una famiglia legata al mare, ai viaggi, alla storia antica e recente, alle tradizioni.
Qual è il suo attaccamento con la Libia?
La mia famiglia è arrivata in Libia agli inizi del XX secolo, precisamente nel 1921, dopo una breve esperienza in Tunisia del mio bisnonno Cesare. Cesare, figlio del sopra citato Giulio, era il padre di mio nonno Diego, e capì che sarebbe stata una grande opportunità per lui e la famiglia della moglie, grandi esperti di tonnare, poter sfruttare le coste africane per la pesca. Cesare e la moglie Luisa, novarese lui e siciliana lei, abitavano da diversi anni a Roma ma entrambi conoscevano benissimo il mondo della pesca del tonno. La famiglia di Luisa Cumbo Borgia, la mia bisnonna, aveva una grande storia alle spalle con le tonnare e gli stabilimenti della costa messinese, e la coppia si lanciò con entusiasmo in questa nuova attività, trasferendosi a Tripoli con tutta la famiglia, cioè con mio nonno Diego e sua sorella maggiore Eugenia. Da allora i Prina Ricotti hanno sempre mantenuto un legame con la Libia, e hanno vissuto in Libia fino alla cacciata. Mio padre è cresciuto ed andato a scuola a Tripoli, la mia bisnonna Luisa è stata una delle ultime persone a lasciare Tripoli nel 1970, per quanto era legata a quella che era a tutti gli effetti la sua terra. Tutte queste storie sono vivissime ancora adesso per tutti noi, pur non essendo potuti tornare in Libia per moltissimi anni: da piccola sentivo parlare della costa di Sidi Bilalal, delle estati a Zanzur, della bellezza di Sabratha o Leptis Magna. Mia sorella ha in casa un’intera parete con una foto ingrandita del bisnonno Cesare in escursione sulle dune a sud di Tripoli. Per noi sono luoghi familiari, così come lo sono i nomi di molte persone che facevano parte della comunità tripolina, libici, ebrei, italiani.
Lei è da poco diventata presidente dell’AIRL. Quali sono i suoi obbiettivi?
Per me è stato un vero onore essere stata scelta da Giovanna Ortu come nuova presidente AIRL. Il lavoro fatto dalla dottoressa Ortu in tutti questi anni sono testamento della sua forza e delle sue capacità, nonché del forte sentimento di unione che ancora è vivo tra gli Italiani di Libia. Purtroppo le generazioni che sono nate e cresciute in Libia sono ormai in età molto avanzata, e non in tutte le famiglie la conoscenza e le storie sono state tramandate come lo sono state nella nostra: per alcuni il trauma della cacciata del 1970 è stato molto forte e doloroso da ricordare. Uno degli obiettivi che mi sono posta, dunque, è di fare in modo che queste storie ed esperienze non vadano perse. Vorrei che si ricordasse la comunità italiana di Libia, che si ricordasse la Tripoli degli anni ’50 e ’60, che si possano trarre anche insegnamenti dall’armonia culturale e religiosa che si era creata in quegli anni. Inoltre, forte del legame reale ancora vivo tra le persone, tra le famiglie che vivono qui in Italia con amici in Libia, tra le aziende che già hanno collaborato con il Paese, tra tutti quegli stakeholders che hanno legami con il territorio, vorrei poter creare un ponte di scambio e collaborazione reali e fattiva, coinvolgendo imprenditori, privati cittadini, istituzioni: portare avanti progetti di formazione, finanziare restauri e missioni archeologiche, creare occasioni di commercio e scambio. La Libia è un paese che purtroppo vive ancora in una certa instabilità, ma noi vogliamo attivarci, creare connessioni, mettere in contatto le persone e fornire delle risorse per aiutare la popolazione libica tutta. Un primo passo in questa direzione è stato fatto in occasione del nostro evento dello scorso 27 novembre, dove abbiamo voluto riunire esponenti del mondo privato e pubblico, da parte libica ed italiana, per aprire un dialogo costruttivo e fare da intermediari tra le due sponde.
Quale ritiene essere il contributo che l’Italia può dare oggi alla Libia?
Il legame tra libici ed italiani rimane sempre forte sul territorio, nonostante le travagliate vicissitudini politiche. Gli imprenditori italiani hanno sempre trovato interessanti opportunità in Libia cosi come molti imprenditori libici coltivano da anni importanti collaborazioni con l’Italia. Ci piacerebbe anche potere creare una rete di scambio per la formazione di giovani libici in diversi ambiti, e creare joint ventures per preservare e far conoscere il ricchissimo patrimonio storico-culturale del Paese, forti ad esempio della collaborazione di una figura come quella della professoressa Musso, che da 40 anni lavora in Libia con successo ed impegno.
Come vede la situazione attuale del Paese?
È un paese che cerca una stabilità e speriamo tutti la ritrovi presto. Notizie e analisi sulla situazione politica attuale e le speranze per le elezioni imminenti sono state fatte da analisti molto più esperti di me e su questo non mi voglio pronunciare. Quello che posso dire è che da parte libica c’è un desiderio concreto di collaborazione con l’Italia, collaborazione e scambio. Chiedono progetti e proposte concrete da poter valutare nell’immediato senza aspettare l’evoluzione politica che si sa non avverrà in tempi brevissimi. Su questo possiamo fare davvero molto nell’agevolare questa comunicazione tra i singoli.
Su cosa Italia e Libia possono collaborare?
La vicinanza storica e soprattutto geografica ci rende il paese europeo più vicino in assoluto. La collaborazione, non voglio essere vaga, ma davvero potrebbe essere in tutti i campi. Per entrare nello specifico spero che potremo avviare una collaborazione nel campo della formazione. Nel campo dei beni culturali abbiamo ideato con la professoressa Musso un interessante progetto archeologico che spero veda la luce molto presto, racchiude in sé quasi tutti i punti sui quali potremmo concentrarci: formazione, recupero, conservazione e continuità nel tempo del rapporto di amicizia. Per quanto riguarda i rapporti economici, spero davvero che gli imprenditori vedano nella Libia le potenzialità di un territorio che gli Italiani di Libia sanno essere estremamente ricco non solo per quanto riguarda le risorse petrolifere; un territorio che ha un estensione di sei volte quella italiana con una popolazione di soli sei milioni di abitanti. Un paese immenso in rapporto alla popolazione, in una posizione strategica per l’Italia, con tantissime potenzialità non sfruttate.
Ritiene ancora possibile una presenza italiana in Libia?
Certamente. Oltre al forte legame che è rimasto in questi anni tra le generazioni che ci precedono, i giovani libici guardano con interesse a possibili collaborazioni con tutti gli altri Paesi, così come noi siamo interessati a far crescere queste connessioni. L’impegno in questo senso è al centro dell’attività dell’AIRL.