sabato, Dicembre 21, 2024
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Intervista all’avv. Davide Fazio

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La redazione di Italia News Online ha avuto modo di intervistare l’avvocato Davide Fazio, dello Studio Legale Fazio. Abilitato all’esercizio della professione forense ed iscritto all’Albo degli Avvocati di Roma, è specializzato in diritto di famiglia e diritto tributario ed esperto di diritto civile, ricorso a meccanismi di ADR e procedure trattate in via stragiudiziale, diritto delle assicurazioni e risarcimento danni. Dal 2018 è referente dell’Italian Chamber in the Caribbean e socio collaboratore dell’Associazione Sviluppo Commercio Internazionale e dell’Associazione Italiana per il Commercio italo-caraibico, realtà che hanno lo scopo di affiancare sotto il profilo legale, fiscale e commerciale le aziende sul mercato internazionale.

In che ramo del diritto/materia giuridica è principalmente specializzato il suo studio?

Lo studio Legale Fazio, grazie anche alla competenza di numerosi collaboratori sia interni che esterni, riesce ad occuparsi di ogni materia giuridica, dall’ambito civile al penale ed all’amministrativo. Inoltre ci avvaliamo anche di ulteriori figure professionali in modo da poter seguire, anche stragiudizialmente, il cliente a 360° gradi. Personalmente mi occupo prevalentemente di diritto civile e tributario e sono in attesa, da parte del Consiglio Nazionale Forense, del riconoscimento della specializzazione in diritto di Famiglia ovvero del diritto della persona, delle relazioni familiari e dei minorenni.

Quale passione l’ha spinta a completare il suo percorso e la stimola ogni giorno nella sua professione?

Fin da bambino ho sempre avuto una naturale propensione a difendere il più debole e ad intervenire di fronte alle ingiustizie. Ho semplicemente continuato ad assecondare il mio modo di essere. E quale migliore professione per continuare a farlo anche da adulto? Ovviamente hanno influito gli esempi in famiglia, mio padre (Avvocato Civilista), mia madre (Psicologa e Psicoterapeuta dell’età evolutiva) e mio zio (Avvocato Penalista) con i quali ancora attualmente collaboro e mi confronto quotidianamente.

Il percorso universitario giuridico è sempre più difficile da poter sostenere, cosa consiglia ai futuri avvocati?

Ai giovani studenti universitari suggerisco, ancor prima di iscriversi alla facoltà, di provare, per quanto difficile possa essere, a capire cosa realmente vuol dire svolgere la libera professione dell’Avvocato, valutando e ponderando aspetti positivi e negativi. Suggerisco di confrontarsi ed informarsi con Avvocati già avviati e di non rimandare, al termine del proprio percorso di studi, le scelte sul proprio futuro professionale. Il rischio è quello di impiegare male il tempo per seguire un percorso (universitario, praticantato, esame abilitativo alla professione ed inserimento nel mondo del lavoro) senza avere una precisa idea su quello che si voglia fare al termine dello stesso e poi magari scoprire che la realtà lavorativa non è in linea con le aspettative immaginate. Nel corso degli anni ho visto tanti amici e Colleghi perdersi nei vari step sopra descritti e non riuscire a concludere il proprio percorso di formazione professionale oppure, dopo averlo brillantemente concluso, decidere di dedicarsi ad altro, non per incapacità ma semplicemente perché comprendevano, troppo tardi, che la libera professione di Avvocato non era loro confacente.

Il divieto di licenziamento perdura ormai da marzo 2020, ma il termine sta ormai per scadere. Quali licenziamenti saranno ammessi e con quali condizioni?

Da gennaio 2022 non sussiste più alcun divieto, pertanto sono possibili i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. Con la legge di bilancio per il 2022 è stata, tuttavia, introdotta una nuova procedura obbligatoria per le aziende di grandi dimensioni, che nel 2021 hanno occupato mediamente almeno 250 dipendenti, le quali intendano procedere alla chiusura di una sede, di uno stabilimento, di una filiale, o di un ufficio o reparto autonomo situato nel territorio nazionale, con cessazione definitiva della relativa attività e con licenziamento di un numero di lavoratori non inferiore a 50. Nel caso sopra descritto l’Azienda deve comunicare per iscritto l’avvio della procedura almeno 90 giorni a sindacati, Regioni interessate, Ministero del Lavoro, Ministero dello Sviluppo Economico e ANPAL. Nei 60 giorni successivi alla comunicazione ai soggetti su citati deve essere inviato un piano per limitare le ricadute occupazionali ed economiche con durata non superiore ai 12 mesi. Entro 30 giorni dalla sua presentazione, il piano è discusso con le rappresentanze sindacali, alla presenza dei rappresentanti delle regioni interessate, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero dello sviluppo economico e dell’ANPAL. Si precisa che prima della conclusione dell’esame del piano e della sua eventuale sottoscrizione, il datore di lavoro non può avviare la procedura di licenziamento collettivo né intimare licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. In caso di mancato rispetto della procedura di cui sopra saranno irrogante sanzioni. Infatti, se non viene presentato il piano, se il piano non contiene gli elementi previsti, se il datore di lavoro è inadempiente rispetto agli impegni assunti, ai tempi e alle modalità di attuazione del piano, di cui sia esclusivamente responsabile, allora dovrà pagare il contributo di licenziamento in misura pari al doppio (con disapplicazione dell’art. 2, comma 35, della legge n. 92/2021 anche se si tratta di licenziamenti collettivi). Nell’ipotesi in cui non venisse sottoscritto accordo sindacale il datore di lavoro è tenuto a pagare il contributo di licenziamento di cui all’art. 2, comma 35, della legge n. 92/2012 aumentato del 50%. Se c’è accordo sindacale e si procede alla sottoscrizione del piano, per i licenziamenti collettivi avviati al termine del piano il datore di lavoro verserà il ticket licenziamento ordinario, cioè non triplicato (non si applica, l’art. 2, comma 35, della legge n. 92/2021 il quale stabilisce che la misura del ticket per i licenziamenti collettivi va triplicata). Se, invece, non viene attivatala la procedura i licenziamenti saranno nulli. Si tratta, dunque, di una novità che trova applicazione esclusivamente nei casi più gravi e per le aziende di grandi dimensioni. Tuttavia, eccezion fatta per queste particolari ipotesi, dal 1° gennaio 2022 non c’è più alcun divieto di licenziamento per motivi oggettivi.

Quali conseguenze si profilano nel caso in cui un lavoratore rifiutasse di sottoporsi al vaccino?

Se un lavoratore rifiuta il vaccino, è obbligato a sottoporsi ai tamponi rapido o molecolare per poter ottenere il green pass necessario per svolgere regolarmente l’attività lavorativa presso la propria sede. Qualora non ottenesse in green pass nemmeno secondo questa modalità, non potrà svolgere attività lavorativa, pertanto risulterà assente ingiustificato con diritto alla conservazione del posto e senza conseguenze disciplinari. Tuttavia, dal 15 febbraio la normativa diventerà più stringente per gli over 50 che potranno svolgere attività lavorativa in azienda soltanto se in possesso del Super green pass, ottenibile esclusivamente con il vaccino o con la guarigione dal Covid, pertanto non sarà più sufficiente il tampone. I lavoratori over 50 sprovvisti di Super Green pass saranno considerati dall’Azienda assenti ingiustificati, senza conseguenze disciplinari, ma per il periodo di assenza non verrà corrisposta loro la retribuzione. Tuttavia hanno diritto alla conservazione del rapporto di lavoro, fino alla presentazione del certificato verde rinforzato. L’accesso ai luoghi di lavoro senza certificato che attesti vaccino o guarigione è, invece, sempre vietato e chi non rispetta tale divieto rischia una sanzione amministrativa da 600 a 1.500 euro, che si raddoppia in caso di reiterazione. L’obbligo vaccinale, senza limiti d’età, dal 1 febbraio 2022 è diventato attivo per il personale delle università e delle istituzione di alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM). Dal 15 dicembre 2021 il vaccino è diventato obbligatorio per personale amministrativo sanità, docenti e personale amministrativo scuola, militari, forze di polizia e di soccorso pubblico. Continua a restare obbligatorio il vaccino per personale sanitario e delle RSA. Anche in questo caso in caso di mancata vaccinazione vi sarà sospensione dall’attività lavorativa senza retribuzione. L’obbligo vaccinale, invece, non sussiste in caso di accertato pericolo per la salute della persona, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale o dal medico vaccinatore. Nei suddetti casi la vaccinazione potrà essere omessa o differita e il lavoratore potrà essere adibito anche a mansioni diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da Covid19.

Come giustificare da un punto di vista giuridico la limitazione delle libertà fondamentali (circolazione, riunione, salute, libertà economica, privacy)?

Da un punto di vista etico-giuridico la limitazione alle libertà fondamentali, quali circolazione, riunione, salute, libertà economica, privacy, è giustificabile eccezionalmente solo con un valore più ampio, oltre che collettivo che è quello della solidarietà nel contesto della salvaguardia della salute collettiva, con specifico riguardo alle persone più vulnerabili (anziani, malati, bambini, etc).

È compatibile col sistema democratico una limitazione come quella che stiamo vivendo?

L’epidemia è un fatto emergenziale ed innegabile, oltre che scientificamente provato, che ha messo in pericolo la salute pubblica ed a nudo tante nostre fragilità, anche sotto il piano costituzionale e del diritto in generale. Ovviamente la portata straordinaria dell’emergenza può certamente consentire forti limitazioni ai diritti fondamentali ma solo transitoriamente ovvero per un periodo di tempo limitato. È anche vero che non ogni limitazione, neanche temporaneamente, può essere ammessa qualora concretamente non sia direttamente collegata dall’emergenza sanitaria in atto ovvero non porti un reale beneficio alla salute pubblica (nel caso della pandemia da COVID-19, tenuta del sistema sanitario, diminuzione dei contagi, ecc.).

Come sta incidendo la pandemia sulla professione forense e quali sono, secondo lei, le prospettive future per l’avvocatura?

Sulla professione forense. In generale, la pandemia (e la relativa crisi anche economica conseguente ad essa) ha comportato l’abbandono della professione da parte di molti Colleghi, che probabilmente avevano già difficoltà professionali prima del Covid-19 e che quest’ultimo ha ampliato, decretando la chiusura dell’attività. Personalmente, al contrario, la mole di lavoro, anche durante la pandemia, è aumentata a tal punto che sto selezionando ulteriori collaboratori. Ho però notato una differenza qualitativa delle tematiche e delle materie trattate. Mi spiego meglio. Durante la prima fase della pandemia sono, ad esempio, diminuiti i contenziosi tributari (a causa della sospensione dell’invio di accertamenti da parte delle Agenzie dello Stato) ma sono aumentati i procedimenti relativi al diritto di famiglia (molti problemi di coppia sono emersi o si sono acuiti durante a convivenza forzata, anche a causa dello smart working). Inoltre c’è stato un exploit delle consulenze per le aziende (riguardanti l’impatto della pandemia sulle tematiche giuslavoristiche e contrattuali in generale) e del contenzioso stragiudiziale: molte sono state le controversie contrattualistiche di vario genere (si pensi alle locazioni, contratti legati a sponsorizzazioni, anche sportive, o legate ad eventi rinviati od annullati per la normativa di emergenza) che si sono risolte in sede non giudiziale. Inoltre, più che negli anni precedenti, ci sono state molte cessioni di aziende, di rami di azienda e di immobili che hanno richiesto una supervisione legale ed uno studio dei contratti. Rispetto alle prospettive dell’Avvocatura. In parte, il futuro dell’Avvocatura passa per la digitalizzazione. La pandemia ha dato una spinta importante al Processo Telematico sia Civile che Tributario ed in parte (minima) anche a quello Penale: le udienze civili e tributarie vengono in gran parte svolte mediante il deposito di note scritte e molti documenti possono essere scaricati con appositi programmi. Direi che attualmente, a livello processuale (civile e tributario), c’è il giusto equilibrio (e compromesso) tra il reale ed il virtuale. Abbiamo infine scoperto che, se ben attrezzati ed organizzati, si può svolgere qualche ora di lavoro anche dalla propria abitazione. Per il resto, a mio avviso, come ho scritto anche, qualche tempo fa, al Consiglio dell’Ordine di Roma, il futuro dell’Avvocatura è da ricercarsi, in realtà, nel proprio passato. L’Avvocatura deve pretendere rispetto dai magistrati, dalle istituzioni e dalla società in generale ma devono essere gli stessi Avvocati a darsi reciprocamente il giusto valore e la corretta dimensione. Il Consiglio Nazionale Forense ed i singoli Consigli dell’Ordine devono essere i primi garanti della giusta valorizzazione degli iscritti. La professione va riqualificata, sollevata ed elevata, riportandola ai fasti di un tempo. Quando l’Avvocato aveva un peso specifico nella società poiché portatore e garante di valori profondi e di ideali ispirati alla giustizia e si distingueva per eleganza, serietà, cultura e padronanza dell’oratoria. Quando l’Avvocato ed i Suoi rappresentanti facevano tremare i polsi alle istituzioni poiché sapevano quello che dicevano e lo dicevano con rispetto ma anche con fermezza e decisione. Queste mi auguro che possano essere le prospettive dell’Avvocatura.

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