Un buon imprenditore può fare il manager, ma un manager non può improvvisarsi imprenditore. Con questa affermazione, intenzionalmente provocatoria, desidero porre l’accento sulla distinzione tra imprenditorialità e managerialità. Nel linguaggio comune, si ha la tendenza ad associare il concetto di impresa con quello di management, ma si tratta di due realtà distinte anche se interagenti. A differenza del manager, l’imprenditore si contraddistingue per la “molteplicità” delle funzioni che è chiamato a svolgere e che caratterizzano la sua realtà lavorativa essenzialmente improntata sull’innovazione, sul cambiamento e sul rischio.
Questa realtà, tuttavia, è fatta anche di obiettivi, organizzazione, sistema, relazioni. In questo senso, l’imprenditore deve avere delle capacità manageriali. La figura del manager si colloca all’interno della realtà imprenditoriale e il suo campo d’azione varia a seconda delle dimensioni dell’azienda e del livello di delega che l’imprenditore decide di lasciargli.
L’imprenditore e il manager, quindi, si muovono e operano nell’ambito di una loro specifica realtà con strumenti e poteri specifici. In sintesi, l’impresa sta all’imprenditore come l’organizzazione aziendale sta al manager. I poteri del manager gli vengono conferiti dall’imprenditore e il suo agire si esplica nella capacità di organizzare e gestire l’attività all’interno dell’azienda. Diverso è anche il background da cui provengono le figure dell’imprenditore e del manager. Per diventare un imprenditore non è necessario possedere titoli di studio specifici. La laurea non è tra i documenti richiesti dalla Camera di Commercio per aprire una partita iva.
Con questo non voglio sottovalutare l’importanza della formazione su cui, al contrario, è fortemente centrata la figura del manager. Non si può diventare manager senza una preparazione adeguata. Ho posto l’attenzione sulla managerialità distinguendola dall’imprenditorialità per evidenziare uno degli aspetti critici dell’Italia. Le imprese sono organismi viventi e costituiscono parte essenziale del nostro sviluppo.
Ne consegue che un corretto utilizzo delle professionalità dei manager può essere una grande risorsa per il Paese, ma l’assenza di meritocrazia è il nemico principale della buona governance, fra l’altro, continuamente esposta ad interferenze e strumentalizzazioni da parte della politica. Per uscire dalla crisi l’unica ricetta possibile è che ognuno faccia la sua parte e prenda le decisioni assumendosene tutta la responsabilità. A guidare le grandi aziende pubbliche dovrebbero essere manager che hanno già dimostrato di avere amministrato con successo, ma questo non sempre accade.
In Italia, i manager non vengono scelti in riferimento alle loro competenze e alla loro professionalità. Quello che emerge non è la meritocrazia, quanto piuttosto l’appartenenza o l’amicizia. Questo sistema viziato ci ha portato ad alimentare una società dove i diritti sono regolati dallo scambio e dai favori e i doveri sono pressoché inesistenti.
Un buon imprenditore può fare il manager, ma un manager non può improvvisarsi imprenditore.